giovedì, settembre 27, 2007

Il liberalismo può essere " compassionevole"?

Giavazzi ci ricorda sempre come il liberismo possa essere un valido strumento per le politiche economiche del centro-sinistra.

Da più parti si eleva il concetto di “liberismo compassionevole”.

In questo modo si cerca di dare un’etichetta sociale a un concetto di mondo e di persona che sociale non è. Il mercato è un gioco tra attori che concorrono per un obbiettivo. La competizione è la base del funzionamento della domanda e dell’offerta sia se parliamo di mercato elettrico, del lavoro, o finanziario. Se accetti di competere ci sarà sempre qualcuno che se ne avvantaggia e qualcuno che perde. Quindi ci sarà chi sta meglio e chi sta peggio. L’incentivo all’individuo dovrebbe essere quello di migliorarsi sempre. Con questa logica si basano le economie più sviluppate.

Giavazzi ci ricorda sempre come aiutare i deboli sia non tanto aiutare i pensionati, ma aiutare i giovani. Anche io penso sia vero. Il problema della sinistra, che Giavazzi non sottolinea, è che la sua classe dirigente non riesce a concepire l’aiuto, se non tramite “togli a uno per dare a un altro”.

Questo non è altro che un concetto di classe, che non può che portare all’egualitarismo, nemico appunto di chi si professa liberale liberista.

Essere “compassionevole” non credo sia accettare la flessibilità o le regole.

In un sistema che si sta evolvendo la flessibilità e la mobilità sono fisiologici nel mercato del lavoro. La differenza la fa chi l’accetta prima e chi dopo. Ma prima o poi tutti ci arriveranno.

Stessa cosa per le regole. Nei mercati come quelli attuali, incerti, instabili e costantemente a rischio bolla,pensare a mercati liberi e lasciati alla “mano invisibile” smithiana fa sorridere.

Da un mercato libero a un mercato delle regole il passo è stato breve. Il punto non è che chi accetta le regole è meno liberista di chi le regole non le concepisce nel mercato. Il punto è che spesso senza regole sparisce il mercato stesso.

Da liberale invece si dovrebbe sottolineare come gli eventi e la società dovrebbero plasmare la classe politica e le sue idee. Se il mondo si evolve, la politica dovrebbe recepire ed adeguarsi, senza usare come una clava principi ed etichette in nome della stessa competizione politica.

Clinton e Blair non erano liberalisti convinti. Hanno solo capito che le rivoluzioni fiscali ed economiche degli anni prima andavano mantenute in quanto “giuste”, non in quando politicamente accettabili.

I principi rimangono, è la politica che si evolve. Etichettare come “compassionevole” chi è liberista però “non del tutto”, fa parte della demagogia politica e di quel deformismo intellettuale tipico di chi predica bene e in molti casi non razzola proprio.

Giavazzi e Alesina patteggiano per una parte. E’ fisiologico in un mondo che si schiera costantemente. Cercano di portare il loro contributo riformista a una causa che nasce e che sperano non prenda derive conservatrici. Fanno un lavoro sporco però.

Il liberalismo è un’arma preziosa ma che va usata in una certa maniera. Il problema però è a chi servono le riforme.

Non si tratta di capire se Adam Smith, Mill, o Ricardo erano di destra o di sinistra. Le riforme vanno fatte nell’interesse della gente, non della classe dirigente.

Il liberalismo non può essere etichettato di destra o sinistra per il semplice fatto che è scomodo quanto di qua e quanto di là, proprio in quanto libero.

L’idea stessa di politica non è del tutto conforme alla libertà. I politici e gli economisti farebbero bene a pensare a dare meno etichette e fare più riforme. Solo quelle ci diranno chi è liberale o no, indipendentemente dal colore politico.

1 commento:

Il Banchiere d'Oro ha detto...

mi piace il tuo blog. complimenti.
se vuoi linkarlo al mio. Abbiamo lo stesso ceppo culturale
http://ilpunto-borsainvestimenti.blogspot.com/